Dipendenza da alcol, tabacco, cannabis, sesso, shopping, videogiochi, persino il cellulare… Oggi sembra che si possa diventare “dipendenti” da qualsiasi cosa. Se l’onnipresenza di questo termine è probabilmente una moda del linguaggio, non deve farci dimenticare che la dipendenza è una vera e propria malattia, corrispondente a criteri precisi.
Clinici e ricercatori stanno cercando di chiarire i meccanismi di questa patologia cerebrale che colpisce milioni di persone, al fine di gestirla al meglio ed evitare ricadute.
Indice
Un po’ di etimo
Il termine “dipendenza” implica un’assenza di indipendenza, di libertà, come testimonia la sua etimologia: nel diritto romano, “addicere” designava la condizione di schiavo del debito. Incapace di pagare il suo creditore, il soggetto debitore diventava “dipendente”, “dipendente da”: si era quindi devoto a quest’ultimo, che aveva il diritto di disporre interamente della sua persona; è stato menzionato il vincolo dell’ente.
Al giorno d’oggi, per indicare che una persona è “dipendente” da qualcosa, senza necessariamente esserne stufo, vengono comunemente usati i termini inglesi “addiction” o “addict“. Una tendenza che potrebbe far dimenticare che la dipendenza è davvero una vera malattia!
Questa patologia può riguardare non solo la dipendenza da sostanze psicoattive, legali (tabacco, alcol, tranquillanti, ecc.) o illecite (cannabis, cocaina, MDMA, oppiacei, nuovi prodotti di sintesi, ecc.), ma anche comportamenti, come attività, gioco d’azzardo, consumo di zucchero, uso dei social network, videogiochi, esercizio fisico o persino shopping.
Lo smartphone, cordone ombelicale psicosociale, insieme “e-doudou” ed estensione del nostro “Io-Sé”, costituisce anche una matrice intermedia di potenziale dipendenza da tutto ciò che può accadere sugli schermi, dai “selfie” alla consultazione di siti pornografici, compresi i giochi e la comunicazione sui social network.
Individuare una dipendenza: le “5C”
La dipendenza è un processo patologico ricorrente, che comprende inizialmente un fenomeno di consumo ripetuto, di intensità variabile a seconda della persona. Questo è accompagnato da una graduale insorgenza di segni di ritiro e/o assuefazione. La persona perde il controllo; presa da un irresistibile desiderio di consumare (chiamato “craving” in inglese), è alla ricerca di prodotti e/o comportamenti che creano dipendenza, nonostante i rischi medici, psicologici, psichiatrici e sociali di cui è tuttavia consapevole (la negazione è una delle caratteristiche della dipendenza).
Le dipendenze riflettono uno squilibrio permanente nella scala del piacere personale. Quando si sentono male, la persona che soffre di dipendenza userà per cercare di riequilibrare le cose, senza riuscirci. Ed è lo stesso quando si sente bene: consumerà, senza che questo migliori lo squilibrio della sua scala di piacere. La natura cronica della malattia, così come il decorso delle ricadute, sono caratteristici di questo disturbo.
Per ricordare le caratteristiche che definiscono le dipendenze, e quindi identificarle meglio, possiamo usare un semplice mnemonico, basato su cinque parole “C”. Una dipendenza è caratterizzata da: perdita di controllo, brama (desiderio irrefrenabile di consumare una sostanza o assecondare un comportamento), uso compulsivo, uso continuo, conseguenze sulla salute. Se questi problemi durano per un periodo di almeno 12 mesi, si può parlare di dipendenza. Ma quali sono le ragioni?
Cosa succede nel nostro cervello quando siamo “dipendenti”?
Normalmente, quando consumiamo una sostanza o quando indulgiamo in un comportamento che ci dà piacere, si attivano quattro circuiti cerebrali: il circuito arcaico della ricompensa, il circuito della memoria e dell’ apprendimento, il circuito della motivazione (attenzione, questo è proprio il circuito della motivazione, non della volontà!) e il circuito del controllo, che è coinvolto nel saper rispondere in modo appropriato a situazioni sociali adattate o inadatte (la reazione estrema è l’impulsività).
Oltre alle dipendenze da sostanze o comportamenti, questi circuiti sono desincronizzati, vale a dire che i circuiti di ricompensa e di apprendimento della memoria opereranno da soli, in isolamento, mentre i circuiti di motivazione e controllo faranno lo stesso. Le dipendenze sono la traduzione clinica di questa desincronizzazione dei circuiti cerebrali; corrisponde a una ricerca registrata e appresa di una ricompensa immediata, accompagnata da una perdita di motivazione e controllo.
Un punto importante da capire è che non è semplicemente perché una persona incontra un prodotto – o adotta un comportamento – potenzialmente addictogenic (cioè capace di innescare una dipendenza), in un dato ambiente, che “svilupperà una dipendenza! I fattori di rischio, infatti, sono molteplici.
Non diventi dipendente così!
Il rischio di dipendenze è il risultato di una complessa equazione, che coinvolge non solo fattori relativi allo sviluppo personale, ma anche caratteristiche neurobiologiche, cerebrali, psicologiche, comportamentali e ambientali. Anche la genetica ha un ruolo (nel 40-70% dei casi), ma non spiega tutto da sola.
Tra i fattori che influenzano il rischio di dipendenza, citiamo la precocità dell’uso di una sostanza: prima si inizia un consumo nella vita, maggiore è il rischio di un consumo eccessivo e/o lo sviluppo di una dipendenza alta, soprattutto se si ripete l’uso.
Il consumo per autocura (effetto calmante, ipnotico, antidepressivo) costituisce un altro tipo di consumo con rischio di dipendenza. In questa situazione, il fatto che il consumo diventi regolare e solitario dovrebbe allertare, perché è un indicatore di rischio.
L’accumulo di consumo aggrava anche il rischio di intossicazione psicologica e sociale, indipendentemente dall’oggetto tossicodipendente. Una quarta modalità d’uso rischiosa è la ricerca dell’eccesso, che può sfociare in un desiderio di anestesia, un desiderio di “sballarsi”.
Infine, ripetere i modelli di consumo è solitamente il punto di partenza di qualcosa di problematico.
Uno sviluppo anarchico che richiede cure complete
Una malattia che crea dipendenza è raramente limitata a una sostanza o a un comportamento. Inoltre, è spesso associato ad altri disturbi, siano essi psichiatrici (depressione, disturbo d’ansia, ecc.), somatici (problemi cardiaci o epatici, ecc.), cognitivi (disturbi della memoria, della concentrazione o dell’attenzione), decisionali o sociale.
Il decorso della malattia non è rettilineo nel tempo, è piuttosto sinusoidale e anarchico: non si passa da uno stato di “tutta problematica” alla scomparsa delle dipendenze. La remissione e il recupero possono richiedere molto tempo.
Per questi motivi, il trattamento di una dipendenza non dovrebbe focalizzarsi sulla sostanza o sul comportamento, ma sulla persona nel suo insieme, cioè quella psicologica, quella fisica, la dipendenza e l’ambiente.
L’approccio più efficace consiste nel combinare trattamenti farmacologici con diversi tipi di psicoterapia, partecipazione a gruppi di sostegno o associazioni di ex pazienti. Anche lo status di paziente esperto può essere vantaggioso (sulla base di una conoscenza dettagliata della propria malattia cronica acquisita nel tempo, i pazienti esperti collaborano con i caregiver per migliorare gli interventi sanitari, ndr).
Infine, nella lotta alla dipendenza come in ogni altra malattia, le prime pietre da portare alla costruzione del successo terapeutico sono una buona alleanza con l’équipe che ci segue, l’aderenza al suo trattamento e la resistenza psichica.
Autore
Laurent Karila, Professor of Addiction and Psychiatry, Member of the PSYCOMADD Research Unit,
Paris-Saclay University end
Boris Hansel, Doctor, University Professor – Hospital Operator, Inserm U1148, Faculty of Health,
University of Paris