Ferro: ecco perché è essenziale per la nostra salute
Il ferro è un elemento fondamentale per la vita, anche se spesso non ce ne rendiamo conto. Chimicamente appartiene alla famiglia dei metalli di “transizione”, noti per la loro capacità di scambiare elettroni facilmente. In termini semplici, questo significa che il ferro conferisce alle molecole biologiche cui è legato un’elevata reattività, donando loro importanti proprietà chimiche, come la capacità di ossido-riduzione, e conseguentemente, funzioni biologiche essenziali.
Il ferro, in combinazione con le proteine, forma enzimi che agiscono come catalizzatori in reazioni biochimiche cruciali per la sopravvivenza delle cellule microbiche, vegetali e animali. Senza ferro, la vita umana non sarebbe possibile.
Un corpo umano adulto contiene tra i 2,5 e i 4 grammi di ferro. Più precisamente, il corpo di una donna adulta ne contiene tra 35 e 50 mg per chilogrammo, mentre quello di un uomo tra 40 e 50 mg per chilogrammo. Due proteine da sole rappresentano il 70% del ferro corporeo: l’emoglobina, presente nei globuli rossi, e la mioglobina nei muscoli.
I ruoli del ferro sono molteplici. Associato all’emoglobina e alla mioglobina, consente il legame e il trasporto dell’ossigeno alle cellule. Integrato in vari enzimi, è coinvolto nella catena respiratoria mitocondriale, che rappresenta il meccanismo respiratorio delle nostre cellule, nella detossificazione, nella degradazione di carboidrati, lipidi e proteine per fornire energia alle cellule, nella sintesi del DNA e dei globuli rossi, e nella regolazione di alcuni neurotrasmettitori come la serotonina. Elencare tutte queste reazioni equivarrebbe a scrivere un libro di biochimica cellulare!
È quindi fondamentale mantenere un livello adeguato di ferro nel corpo. Tuttavia, perdiamo ferro ogni giorno attraverso il sudore, la desquamazione della pelle e delle cellule intestinali, le feci e, nel caso delle donne, attraverso il sangue mestruale. Durante la gravidanza, si aggiungono anche le esigenze del feto. Per un uomo adulto o una donna in postmenopausa, le perdite ammontano a circa 14 µg per kg di peso corporeo, ovvero circa 1 mg al giorno. Per una donna in età fertile, le perdite giornaliere possono raggiungere i 5 mg. Pertanto, è necessario compensare queste perdite.
Le assunzioni raccomandate variano: in media, una giovane donna dovrebbe assumere 25 mg di ferro al giorno, un uomo 12 mg, e un bambino tra 6 e 10 mg. Tuttavia, il ferro assunto attraverso l’alimentazione viene assimilato solo parzialmente, quindi è fondamentale che la dieta sia una buona fonte di questo elemento.
Indice
Le origini delle carenze e dell’anemia
La carenza di ferro, nota anche come marziale o sideropenia, si verifica quando le riserve di ferro nel corpo scendono al di sotto di un livello considerato standard dalla comunità medica. Attualmente, questa condizione è riconosciuta come la carenza nutrizionale più comune a livello globale. Può essere causata da patologie (come malattie della mucosa intestinale, ad esempio ulcere peptiche o cancro del colon-retto, o diarrea cronica) oppure da un apporto alimentare insufficiente, spesso dovuto a malnutrizione, diete vegetariane estremamente restrittive (come quelle vegane) o diete dimagranti.
È importante distinguere tra sideropenia (basse riserve di ferro) e iposideremia (basso livello di ferro nel plasma sanguigno). La carenza di ferro viene diagnosticata tramite un emocromo completo, che include la misurazione della ferritina, una proteina che immagazzina ferro nelle cellule. La ferritina si trova in particolare negli organi che fungono da riserva di ferro, come fegato, milza, midollo osseo, muscoli scheletrici e globuli rossi.
La soglia inferiore comunemente accettata per diagnosticare una carenza di ferro è di 15 µg/L di ferritina nel sangue. Tuttavia, questa soglia è considerata arbitraria, poiché può variare in base a fattori come sesso, età, stato di salute e persino opinioni mediche.
Se la carenza di ferro persiste, può portare a una condizione nota come anemia sideropenica o anemia da carenza di ferro, caratterizzata da una riduzione del numero di globuli rossi nel sangue. Questa condizione viene diagnosticata quando l’emocromo mostra un livello di emoglobina inferiore a 130 g/L negli uomini e a 110 g/L nelle donne. L’anemia è considerata grave se i livelli di emoglobina scendono al di sotto di 70 g/L.
Esistono anche altre cause di anemia oltre alla carenza di ferro, come la carenza cronica di vitamina B12 dovuta a un apporto alimentare insufficiente. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, l’anemia è causata da perdita di sangue (94,4% dei casi), malassorbimento intestinale di ferro (17,8%) o insufficiente apporto alimentare di ferro (6,6%), secondo uno studio su 100 pazienti. Nel caso di perdita di sangue, la causa più comune negli uomini è di origine digestiva (come gastrite o ulcere gastroduodenali), mentre nelle donne la causa principale è di origine ginecologica.
L’anemia da carenza di ferro è particolarmente comune nelle donne in gravidanza, rappresentando oltre il 90% dei casi di anemia in questa popolazione. Nei paesi occidentali, tra il 10% e il 20% delle donne incinte che non assumono integratori di ferro, e meno del 5% di quelle che li assumono, presentano anemia da carenza di ferro durante il terzo trimestre di gravidanza.
Quali sono le conseguenze per la salute?
La carenza di ferro può causare una serie di problemi di salute, tra cui disturbi del sonno e affaticamento cronico, particolarmente pronunciati negli adolescenti che sperimentano mestruazioni abbondanti. Nelle donne in gravidanza, la carenza di ferro può aumentare il rischio di nascite premature, bambini con peso inferiore alla norma e possibili deficit mentali. È anche associata alla sindrome delle gambe senza riposo, soprattutto durante la gravidanza.
Esistono casi di carenza di ferro senza anemia, dove il numero di globuli rossi rimane normale, ma il corpo non funziona comunque in modo ottimale. Questa condizione può manifestarsi con affaticamento, riduzione delle capacità cognitive (come la difficoltà nel pensare chiaramente) e una minore capacità di affrontare lo sforzo fisico. Sfortunatamente, questa condizione è spesso sottovalutata e difficile da diagnosticare, sia dai medici che dai pazienti stessi. Un possibile indicatore potrebbe essere l’alterazione delle mucose orali accompagnata da candidosi.
La carenza di ferro ha un impatto significativo anche a livello globale. È considerata la principale carenza nutrizionale al mondo se si utilizza il parametro DALYs, che misura il numero di anni di vita sana persi a causa di malattie o condizioni di vita difficili (Salomon, 2014).
L’aspettativa di vita ideale, in assenza di malattie, è stimata a 92 anni. Tuttavia, l’aspettativa di vita media globale è di 73,4 anni, con un’aspettativa di vita in buona salute di circa 66 anni, secondo l’OMS.
In Europa, l’anemia da carenza di ferro rappresenta il 6,3% dei DALYs, una percentuale significativa, ma in altre regioni del mondo, la situazione è ancora più grave. Ad esempio, nel sud-est asiatico, la carenza di ferro contribuisce al 40% dei DALYs, nel Pacifico occidentale al 19%, in Africa al 17% e nelle Americhe all’8,1%.
Uno scenario ipotetico che prevede l’aumento del consumo di carne bovina fino a una media di 100 g di carne macinata al giorno ridurrebbe, ma non eliminerebbe completamente, l’anemia sideropenica. Tale aumento potrebbe abbassare i DALYs da 16 a 7,2 per 100.000 individui all’anno, dimostrando che, sebbene utile, questa misura non è una soluzione completa.
Carenza e anemia: chi ne è affetto?
Dal 50 all’80% della popolazione mondiale soffre di carenza di ferro, pur non essendo necessariamente anemica. Secondo l’OMS, due miliardi di persone sono affette da anemia. La carenza di ferro colpisce tutte le popolazioni, indipendentemente dal livello economico (PIL, HDI), dal sesso, dal gruppo etnico o dalla cultura.
Tuttavia, ci sono alcune differenze: le donne in età fertile sono le più colpite, seguite dai bambini. Negli Stati Uniti, solo il 3% degli uomini adulti sotto i 70 anni soffre di carenza di ferro o anemia, mentre questa percentuale varia dal 9 al 16% tra le donne di età compresa tra 12 e 49 anni.
La prevalenza dell’anemia è ancora più alta nei paesi con condizioni di vita difficili, dove l’accesso a cibi di qualità, specialmente quelli di origine animale, è limitato o inesistente. In queste regioni, oltre il 40% delle donne in gravidanza è anemico, come accade in Africa subsahariana, Africa centrale, India, Brasile e Perù. Anche i bambini sono particolarmente a rischio in questi contesti: a livello globale, il 43% dei bambini sotto i 5 anni è carente di ferro.
Un altro gruppo particolarmente vulnerabile all’anemia è costituito dai corridori di fondo (maratona, trail, ultra-trail) e dagli escursionisti over 50. Le cause di queste perdite di ferro, accentuate dall’attività fisica, sono molteplici: perdite significative attraverso il sudore e le urine, emorragie digestive ed emolisi (distruzione dei globuli rossi). La carenza di ferro in questi casi è anche legata all’emodiluizione, spesso associata al consumo eccessivo di alcol durante e dopo l’esercizio. Questo effetto scompare dopo 48 ore. L’emolisi, osservata ad esempio durante un ultra-trail, è causata da shock ripetuti al piede su superfici dure e dalla compressione prolungata dei muscoli durante lo sforzo.
Come trattare la carenza di ferro?
La soluzione più immediata è l’uso di integratori alimentari ricchi di ferro. Tra le opzioni farmacologiche disponibili ci sono il solfato di ferro, il fumarato di ferro, il gluconato di ferro (assunti per via orale), e idrossidi di ferro in combinazione con glucosio o destrine, oltre al gluconato di ferro somministrato per via parenterale (iniezione muscolare).
Tuttavia, è stato dimostrato che questa strategia non è sostenibile a lungo termine: l’aderenza alla supplementazione tende a diminuire nel tempo. Oltre alla stanchezza e alla dimenticanza, il disagio associato alla supplementazione, come l’irritazione del colon, contribuisce a questa scarsa aderenza.
Un nuovo integratore, però, sembra promettente: il ferro bis-glicinato. Questo tipo di ferro offre un maggiore comfort digestivo poiché è meno pro-ossidante, ed è molto efficace, con una biodisponibilità significativamente superiore rispetto al solfato di ferro (assorbimento del ferro quattro volte maggiore). Tuttavia, la soluzione più efficace rimane quella di modificare l’alimentazione per migliorare l’assunzione di ferro.