Una delle principali motivazioni della mente umana è la necessità di trovare associazioni tra diversi eventi che le permettano di anticipare la realtà. La selezione naturale ha favorito la ricerca di rapporti causa-effetto per scoprire le regole del mondo e favorire così la sopravvivenza e la riproduzione.
Siamo cercatori compulsivi di connessioni, archeologi della regolarità, futurologi intuitivi. Il nostro sistema cognitivo è allergico all’ambiguità e all’incertezza. L’associazione degli eventi è l’antidoto a questa “reazione allergica mentale”.
Le superstizioni sono il lato oscuro di quella tendenza predittiva tanto utile alla sopravvivenza: associano eventi che, in realtà, non sono in alcun modo correlati. La tendenza umana a predire il mondo inventa queste connessioni. Dopotutto, l’apprendimento delle associazioni è la pietra angolare della nostra acquisizione di comportamenti.
Con le superstizioni si trascurano questi meccanismi associativi, si pecca per eccesso.
Indice
Superstizioni di laboratorio
Il primo approccio scientifico al comportamento superstizioso fu effettuato nel 1948 dallo psicologo BF Skinner attraverso un famoso studio sui piccioni. Skinner programmò la distribuzione del cibo in modo che avvenisse automaticamente ogni quindici secondi. Qualunque cosa facessero, i piccioni sarebbero stati nutriti a quel ritmo.
Dopo qualche tempo, lo scienziato americano verificò che la maggior parte degli uccelli (sei su otto, in particolare) avevano sviluppato propri rituali superstiziosi per procurarsi il cibo. Un piccione girava su se stesso, altri muovevano la testa da una parte all’altra e un altro beccava il terreno. Questo fenomeno è chiamato “condizionamento accidentale” per differenziarlo dal “condizionamento operante”, in cui l’animale impara in base alle conseguenze positive o negative realmente causate dal suo comportamento.
Risultati molto simili sono stati ottenuti con gli esseri umani che utilizzano compiti in cui vengono stabilite connessioni fittizie tra gli eventi. Infatti, esiste un intero campo di studi in psicologia dedicato alle illusioni di causalità, che sono state persino collegate alla proliferazione di pseudomedicine alternative come l’omeopatia o il reiki, o alle credenze nel paranormale.
Il profeta che ha sempre ragione
Quando abbiamo già creato una connessione causale tra gli eventi, uno dei meccanismi che ne favorisce il mantenimento è il cosiddetto “bias di conferma”, che fa parte del nostro arsenale cognitivo
Tendiamo a prestare più attenzione a quegli eventi che confermano le nostre convinzioni che a quelli che le contraddicono: “Ogni volta che lavo la macchina piove”; “il corriere di Amazon arriva sempre quando non sono a casa”… Dimentichiamo facilmente le numerose volte in cui tali previsioni non si sono avverate. E, allo stesso tempo, ricordiamo vividamente il momento in cui si sono verificati quegli eventi scomodi a causa dell’impatto emotivo che generano.
Un altro meccanismo che favorisce il mantenimento delle superstizioni si basa su quella che gli psicologi chiamano “profezia che si autoavvera”. Cioè, la propria fede in una previsione può farla diventare realtà attraverso le nostre azioni.
Così, se qualcosa va male non indossando i nostri calzini fortunati, probabilmente diventeremo nervosi non avendo il nostro amuleto e la nostra performance ne risentirà seriamente. infine arriveremo alla conclusione che la profezia si è avverata, anche se siamo noi stessi a confermarla.
Le nostre superstizioni ci rendono schiavi: se le ignoriamo, l’ansia ci farà peggiorare le prestazioni. Lo possono confermare gli sportivi, che accumulano compulsivamente manie, rituali e superstizioni.
Superstizioni a buon prezzo
Le superstizioni sono assurde, ma generalmente facili da seguire. Si mantengono grazie al “non si sa mai” e al “e se fosse vero?”. Toccare ferro, non passare sotto una scala, non brindare con l’acqua, incrociare le dita: sono tutti atti molto facili da realizzare, a costo zero.
Il fisico Niels Bohr (1885-1962) aveva un ferro di cavallo appeso al muro del suo ufficio. Alla domanda su come fosse possibile che una delle menti più analitiche del suo tempo credesse negli amuleti, Bohr rispose: “Non ci credo, ma mi è stato detto che portano fortuna anche a chi non ci crede”.
Non costa tanto, no? Il comportamento superstizioso sarebbe più difficile se dovessimo fare un centinaio di flessioni per aumentare la fortuna prima di un esame. Siamo stupidi, ma non abbastanza per sconfiggere la pigrizia.
Integrate nella cultura
Le superstizioni sono spesso radicate nel patrimonio di tradizioni e costumi di una società. Ci permettono di identificarci con i valori della nostra cultura, attraverso abitudini e rituali condivisi.
Molte superstizioni culturali hanno radici secolari o addirittura millenarie, il che rende molto difficile rintracciarne le origini. Si pensa che toccare legno derivi dalle antiche credenze celtiche sulle anime che abitavano gli alberi. I gatti neri erano associati alle streghe durante il Medioevo, anche se in Scozia sono simbolo di buona fortuna. Una bella dimostrazione dell’arbitrarietà delle superstizioni, tra l’altro.
Il numero tredici ha una pessima reputazione. Secondo la compagnia Otis, circa l’85% dei loro ascensori installati in edifici con più di dodici piani omette il tasto con il numero tredici. Sembra che l’origine sia legata a Giuda Iscariota, il tredicesimo commensale nell’Ultima Cena del cristianesimo. La paura del venerdì 13 combina questa superstizione numerica con il ricordo della celebrazione del Venerdì Santo, giorno fatidico in cui fu crocifisso Gesù Cristo.
Razionale, il giusto
La nostra razionalità naturale non è logica, ma bio-logica o psico-logica. L’evoluzione ci ha dotato di un arsenale di scorciatoie cognitive per elaborare grandi quantità di informazioni e prendere decisioni rapide (solitamente corrette) con i dati parziali e ambigui che riceviamo dall’ambiente. Al contrario, l’esercizio del pensiero logico e razionale richiede l’estenuante compito di disciplinare la mente per prevenire le fallacie e i pregiudizi del pensiero umano.
Entrambi i sistemi di pensiero coesistono in noi senza apparente conflitto. Da un lato, un sistema intuitivo e automatico guidato da regole semplici, che può derivare in pregiudizi e fallacie del pensiero. Dall’altro lato, un sistema analitico e riflessivo, ma più lento e più dispendioso, che in condizioni favorevoli può agire in modo razionale e logico.
Ecco perché, anche nelle menti più razionali e analitiche, possono risiedere credenze irrazionali e superstizioni assurde. Lo sa bene Niels Bohr, con il suo ferro di cavallo portafortuna. Quando ci togliamo il camice da scienziato o la toga da giudice, la nostra mente è credulona quanto quella dei nostri antenati preistorici. Incrociamo le dita affinché la ragione non ci abbandoni del tutto.