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Il pensiero complesso del tempo

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Affinare la nostra conoscenza del tempo non significa solo costruire orologi migliori, a contatto con i fisici. È anche, è soprattutto, rimettere in gioco la nostra razionalità, cioè il modo in cui mettiamo le parole al mondo. Vogliamo qui insistere su tutto l’interesse e la fecondità del pensiero complesso (nel senso di Edgar Morin) del tempo, in opposizione al suo pensiero cartesiano a noi più familiare.

Pensiero complesso? Prendiamo un esempio, ispirato dalla nostra vita. Come esprimere chi siamo? Con Descartes e il suo cogito ergo sum (“Penso, quindi sono”), consideriamo di costruire la nostra identità dal nostro stesso pensiero, senza riferimento a nulla al di fuori di noi. Questa comprensione è rassicurante, ma come accettarla? Tutti i dati della scienza contemporanea ci mostrano i suoi limiti: le relazioni con gli altri, con il nostro ambiente, ci fanno davvero essere. Che significato ha allora il mio “io”? Dove sono? Qui e/o altrove? Eccoci davanti a cerchi infiniti.

Il pensiero complesso non esita ad affrontare queste difficoltà, a costo di una certa insicurezza, ma guadagna una migliore vicinanza alla realtà. Mostra i legami in tutte le direzioni tra i nostri oggetti di pensiero (io sono sia me stesso che la somma delle mie relazioni), le convenzioni che devono essere stabilite, la loro provvisorietà, la necessità di riprendere sempre le nostre rappresentazioni. Ci chiede di distinguere tra la realtà concreta intessuta di molteplici fili intricati e la finzione di parole che disgiungono. Il filosofo tedesco Hans Vaihinger (autore de La filosofia del come se) mostra infatti che abbiamo bisogno delle parole come strumenti efficaci del pensiero (o delle finzioni) che non si riferiscono necessariamente a elementi isolati della realtà.

E il tempo? Anche per lui bisogna abbandonare il desiderio di considerarlo tutto solo, in se stesso. Pensare al tempo è considerare le sue relazioni con il mondo, da cui lo astraiamo per comodità della nostra comprensione.

Tempo e movimento

A cosa collegarlo in primo luogo? Un semplice esame del suo significato palpabile ci mostra che il tempo che conta si riferisce sempre a cambiamenti di posizione nello spazio, cioè a movimenti di entità materiali in senso lato. Perché un lasso di tempo sia concretamente segnato, deve corrispondere a modificazioni della distribuzione spaziale degli atomi del nostro universo. Ti immagini che il tempo passi senza alcun movimento, come quando i capelli diventano bianchi? Ma ingrandendo le cose, vedremmo i movimenti della materia. E il senso operativo del tempo del fisico si basa su un orologio che nasconde sempre un movimento.

La storia della filosofia e della fisica ci porta nella stessa direzione. Due esempi: per Aristotele, “il tempo è il numero del movimento secondo l’anteriore e il posteriore”. Con queste celebri parole il filosofo si affida al movimento per definire una successione temporale, pur sottolineando una distinzione tra tempo e movimento, ampiamente discussa nella sua opera.

Per il fisico E. Mach, “scegliamo di misurare il tempo un movimento scelto arbitrariamente”. Molte culture (ad esempio quella cinese, cfr. F. Jullien) hanno rinunciato al concetto di tempo e lo hanno sostituito con i movimenti offerti dalla natura: il corso degli astri, i movimenti dei venti, ecc., mossi dal cambio di stagione

Ma come dire movimento se non hai già il tempo? E lo spazio dovrebbe rimanere fuori dalla discussione, che secondo H. Poincaré è costruito dai movimenti che facciamo per collegare i suoi punti costitutivi?

Con un pensiero complesso, facciamo appello a tutte le risorse delle scienze umane e sociali, delle scienze naturali e dell’epistemologia. Con essi possiamo promuovere una sintesi di Mach e Poincaré affermando la proposizione euristica centrale: “Il movimento precede lo spazio e il tempo da cui derivano”.

Antropologia, psicologia, studi sulla cognizione incarnata ci mostrano come il movimento del corpo precede lo spazio e il tempo delle parole; la fenomenologia insiste sul carattere ineludibile di questa fase in connessione con qualsiasi scienza della natura, anche la più fondamentale.

E, a causa della nostra situazione all’interno del mondo, non siamo in grado di uscirne per portare, dall’esterno, regole e orologi per misurarlo. Secondo un approccio relazionale (altro nome per il pensiero complesso), possiamo solo confrontare i fenomeni tra loro; spazio e tempo sono i nomi di questi confronti.

In ogni situazione particolare, i movimenti delle entità del mondo possono essere divisi tra quelli che sono per noi insignificanti, o fuori dalla portata dei nostri strumenti, sui quali costruiamo riferimenti spaziali, e, per confronto, quelli che sono significativi e su cui costruiamo i tempi.

Così i punti laterali dell’IGN (National Geographic Institute) o i marker del sistema GPS (Global Positioning System), piantati sul nostro rilievo terrestre e sulle nostre montagne, apparentemente non si muovono l’uno rispetto all’altro a misura d’uomo: costruiamo su loro il nostro spazio di riferimento, all’interno del quale segniamo vari movimenti legati al tempo. Ma su scala geologica, questi marker sono mobili e non possono più essere utilizzati per questo; dobbiamo quindi spostare la nostra dualità spazio/tempo di posizione concreta.

Tempo o tempi?

Il tempo singolare è scelto dalla molteplicità dei tempi per il suo valore di ampia comunicazione; si basa su un movimento deciso standard per convenzione (oggi quello del fotone di luce, secondo il 2° postulato della relatività) che interrompe una regressione senza fine: possiamo quindi nominare ciò che avevamo solo mostrato.

Insomma, teniamo presente l’immagine (la ricetta del pensiero) che in ogni momento facciamo corrispondere un movimento (apriamo gli orologi, sono sempre un punto di vista su un movimento) e ad ogni spazio un pezzo di movimento (pensiamo ai topografi che misurano le distanze sulla terra in base al tempo di volo dei fotoni laser, o agli astronomi la distanza delle stelle in anni luce).

Distinguiamo spazio e tempo concreti, vissuti, misurati, sempre legati tra loro, come le due facce della stessa medaglia (il confronto dei movimenti) e spazio e tempo, parole isolate, l’una dall’altra, finzioni utili, per così dire.

La validità di questa euristica del movimento temporale è verificata nelle sue molteplici conseguenze (cfr Bergson: la nuova idea è illuminata da ciò che illumina). Pertanto, in tutte le aree del pensiero, quando si tratta di affrontare questa o quella difficoltà, ci sono seri svantaggi nel separare lo spazio concreto dal tempo. Dobbiamo cercare il più possibile di risalire alla fonte del movimento.

È fruttuoso considerare un’ampiezza dello spazio come un pezzo di movimento, dando senso alla definizione del metro del 1983, come il percorso della luce per una frazione di secondo. È ancora fruttuoso mettere il tempo e lo spazio sullo stesso piano delle diverse coppie di quantità in fisica (campo elettrico/magnetico per esempio), portando un nuovo sguardo alle relazioni tra meccanica quantistica e relatività generale, che non sono d’accordo sulla loro comprensione dello spazio e del tempo. La seconda legge della termodinamica diventa chiara sottolineando il forte abbinamento di gradienti spaziali e temporali.

È utile associare tempo, spazio e movimento nelle scienze umane e sociali: ciò getta luce sulle aporie del tempo, sul rapporto tra storia e geografia, sulla convergenza delle parole di tempo e spazio in linguistica, sulla comprensione dei ritmi, sulla genesi delle nozioni spazio-temporali in antropologia, psicologia e neuroscienze. Eccetera.

Autore

Bernard GuyMines Saint-Etienne – Istituto Mines-Telecom