La meccanica quantistica (la teoria degli atomi, dei quark e dei fotoni) è decisamente strana.
Nella prima parte del 20° secolo, il fisico danese Niels Bohr (denominato popolarmente il padre della fisica quantistica) disse che “coloro che non sono scioccati dalla teoria quantistica non possono averla capita”.
A causa della sua complessità intrinseca, la teoria quantistica non consente un’immagine di un universo meccanico gestito da semplici cause ed effetti. Piuttosto, è sembrato a lungo ai fisici che dobbiamo fare una di queste due cose:
- 1) Abbandona la nostra attuale comprensione della realtà, dove esistono proprietà delle particelle indipendentemente dal fatto che siano state ancora misurate o meno.
- 2) Considerare la possibilità che la segnalazione (letteralmente comunicazione) avvenga tra le particelle a una velocità superiore alla velocità della luce. Molti fisici supportano questa opzione, anche se solleva molte questioni affascinanti, come il paradosso del nonno.
Dagli anni ’80, una terza possibilità è emersa da sotto la superficie, ma fino ad ora non è stata presa molto sul serio: rinunciare a parte del nostro libero arbitrio.
Indice
Libero arbitrio
Cosa intendiamo per libero arbitrio in questo contesto? Faccio un esempio:
Uno scienziato potrebbe impostare un voltmetro su una scala di sensibilità alta o bassa, nel qual caso potrebbe sentire di esercitare il libero arbitrio per quanto riguarda l’impostazione.
Ma qualunque influenza possa essere entrata in gioco rispetto alle scelte che hanno fatto, potrebbe anche aver influenzato le proprietà di tensione del circuito che sta per essere testato.
In altre parole, siamo influenzati da fattori ambientali e quegli stessi fattori potrebbero aver influenzato le proprietà di tensione del circuito che deve essere misurato.
Per dirla ancora in un altro modo: non siamo disconnessi dal resto dell’universo – siamo fenomeni fisici allo stesso modo della tensione, dei sistemi solari.
“Dio non gioca a dadi” – Albert Einstein
Si consideri una ben nota sorgente di luce quantistica, nota come stato di singoletto, che emette coppie correlate di fotoni all’incirca nello stesso momento in direzioni opposte.
Ora immagina due persone immaginarie: Alice e Bob, che si trovano alle estremità opposte di una stanza.
Per ogni coppia di fotoni emessi, uno viaggia verso Alice e l’altro verso Bob.
I fotoni si muovono in vari modi mentre si spostano (su e giù, sinistra e destra, in diagonale), una proprietà nota come polarizzazione.
Gli occhiali da sole utilizzano questa proprietà, lasciando passare solo i fotoni che si muovono verticalmente.
Nel nostro esperimento di fantasia, Alice e Bob possono valutare se i loro fotoni si stanno dimenando in una determinata direzione indossando occhiali da sole, inclinando la testa con l’appropriato “angolo di oscillazione” e vedendo se passa un fotone.
Le coppie di fotoni nel nostro esperimento di fantasia hanno una caratteristica notevole.
Se Alice e Bob inclinano la testa alla stessa angolazione, i loro rispettivi fotoni passano entrambi attraverso gli occhiali da sole o entrambi vengono bloccati. In altre parole, esiste una correlazione perfetta e dimostrabile.
Com’è possibile?
Una risposta ovvia è che i fotoni hanno un destino predeterminato, quasi come se avessero concordato una storia in anticipo (“Giusto, se gli occhiali di Bob hanno un’inclinazione diagonale, passa attraverso, altrimenti non preoccuparti e ci vediamo al pub in seguito”).
Questa idea di una storia prestabilita, o determinismo, è esattamente ciò a cui si riferiva Einstein quando disse “Dio non gioca a dadi!”.
Rompere il limite di velocità?
Tutto quanto sopra citato va bene. Ma… non c’è sempre un ma?
La sorgente di luce quantistica nell’esempio sopra si comporta in modo tale che, se Alice e Bob inclinano la testa ad angoli diversi l’uno rispetto all’altro, i fotoni correlati passano attraverso entrambe le coppie di occhiali da sole troppo spesso per essere spiegati esclusivamente dal determinismo.
Nel 1964 John Bell dimostrò che il determinismo non era abbastanza: sembrava che i fotoni avessero bisogno di essere in grado di “comunicare” in qualche modo quando raggiungevano gli occhiali da sole (“Ehi, Alice sta inclinando la testa in diagonale; cosa sta facendo la testa di Bob?”).
Il risultato di Bell senza dubbio fece girare Einstein nella tomba (il grande uomo era morto nove anni prima).
Consentire la comunicazione tra i fotoni dopo che si erano separati alla fonte significherebbe inviare informazioni più velocemente della velocità della luce, che era il limite di velocità universale fissato dallo stesso Einstein, nella sua Teoria della Relatività.
Rinunciare (alcuni) al libero arbitrio
Direi che c’è un’altra possibilità, un argomento nuovo e convincente che ho sviluppato nell’ultimo anno.
Funziona così: Alice e Bob fanno scelte quasi, ma non del tutto libere, su come loro, in quanto “sperimentatori” nel nostro scenario immaginario, inclinano la testa.
Supponiamo che gli stessi fattori che determinano la storia concordata dei fotoni possano anche avere una piccola influenza statistica (circa il 14%) sulle scelte di Alice e Bob riguardo a come inclinare la testa.
In altre parole: Alice e Bob scelgono liberamente, ma non così liberamente come potrebbero credere.
Questo ha senso, dato che Alice e Bob fanno parte dello stesso mondo fisico dei fotoni e quindi sono soggetti allo stesso insieme di fattori ambientali.
In questo modo Einstein può avere la sua torta e mangiarla: il comportamento dei fotoni è predeterminato e non c’è comunicazione più veloce della luce tra i fotoni.
Ma il grand’uomo sarebbe disposto a rinunciare a parte del suo libero arbitrio in cambio di questa torta? E avrebbe anche avuto una scelta in merito?
E tu? Quanto libero arbitrio hai?
Autore
Michael Hall, Griffith University