Siamo liberi? La filosofia è sempre stata interessata al problema della libertà umana. Cosa può aggiungere la scienza a questo dibattito?
Determinismo spietato
Il principe della filosofia Immanuel Kant insegnava matematica e scienze. Fu il primo a interpretare la Via Lattea come un ammasso di stelle, cioè una galassia, simile ad altre nebulose visibili nel cielo. Egli conosceva la fisica, è quindi autorizzato a porre un problema fondamentale così riassumibile:
“Non c’è libertà”, dice lo studio scientifico della Natura e di ogni realtà empirica, “perché le cose sono conoscibili solo nella misura in cui sono soggette alla necessità della legalità naturale. Ogni nuova conoscenza limita ulteriormente la libertà. » (Immanuel Kant, in “I grandi filosofi, volume 3”, di Karl Jaspers, 1963)
La fisica newtoniana è strettamente deterministica. Non appena la legge è trovata, tutti i fenomeni che ne derivano vi si sottomettono irrimediabilmente. Sono quindi esattamente prevedibili e il caso non ha alcun ruolo. Baruch Spinoza ci aveva già avvertito:
“Pensiamo di essere liberi, ma siamo liberi come una pietra che cade. » (Baruch Spinoza, Lettera a Schuller, 1674)
La conoscenza scientifica si costruisce a partire dall’osservazione dei fenomeni che porta alla concettualizzazione di una legge, che permette di fare previsioni. Ma chi dice “previsione” dice “assenza di scelta”, da qui la maledizione di Kant: più sappiamo, meno siamo liberi. Questa condanna inaccettabile riecheggia il peccato originale di cui parla la Genesi: se Kant ha ragione, il serpente ha mentito (questo è infatti il suo ruolo) e la conoscenza non ci trasforma in Dei come promesso dal tentatore, ci incatena con le sue leggi.
“[La] scienza insegnerà all’uomo che non ha mai avuto una volontà… ciò che realizza, lo realizza non secondo la sua volontà ma in conformità con le leggi della Natura. Basta concepire queste leggi e l’uomo non potrà più essere ritenuto responsabile delle sue azioni. Tutte le azioni umane possono ovviamente essere calcolate matematicamente, come facciamo per i logaritmi, fino al centomillesimo. » (Fëdor Dostoevskij, Il seminterrato, 1864)
Secondo il determinismo tutti i fenomeni osservati rispondono alla legge di causalità che resta il cardine del metodo scientifico, ma non solo. Il principio di causa ed effetto caro ai fisici era già rivendicato dai teologi. Così nel XIII secolo San Tommaso d’Aquino lo usò per dimostrare l’esistenza di Dio:
“È impossibile che qualcosa si metta in moto. Se dunque una cosa si muove dobbiamo concludere che è mossa da qualcos’altro. Se la cosa che si muove si muove a sua volta, deve essere essa stessa mossa da un altro, e questo da un altro ancora. È quindi necessario giungere a un motore primo che non sia mosso da nessun altro, e tale fonte di movimento si chiamerà Dio. » (San Tommaso d’Aquino, La Summa teologica, 1266-1273)
Si noti che a partire da Newton la fisica ha chiamato forza ciò che muove un oggetto.
Kant perfeziona la sua dimostrazione: “La libertà esiste attraverso il dovere che dice ciò che è bene o ciò che è male e quindi o la Natura non ha una coesione causale irrimediabile oppure la responsabilità è un’illusione. » (Immanuel Kant, in “I grandi filosofi, volume 3”, di Karl Jaspers, 1963)
Il determinismo assoluto implica una coesione causale irrimediabile, quella derivante dalle leggi fisiche. Una volta conosciuti, una simulazione al computer può in linea di principio prevedere con precisione il futuro, e in questo contesto siamo ridotti al ruolo di burattini senza libertà propria e quindi senza responsabilità.
Fortunatamente per noi, oggi sappiamo che questa maledizione vale solo a livello della fisica classica e che non è più applicabile al microcosmo, il mondo in cui si muovono le particelle.
Libertà quantistica
La fisica dell’infinitamente piccolo è molto più sottile di quella di Newton, non è più deterministica ma diventa probabilistica. La teoria è in grado solo di calcolare le probabilità di realizzazione. Pertanto, la traiettoria di un elettrone non è solo prevista. La pietra che cade segue un percorso obbligato, invece l’elettrone può scegliere tra vari percorsi possibili e non possiamo prevedere quale sarà seguito da un particolare elettrone.
Einstein si oppose a questo indeterminismo. Era convinto che esista una realtà oggettiva che il ricercatore deve descrivere esattamente. Non poteva ammettere che la realtà non fosse stata prevista inequivocabilmente. Ciò lo portò a pronunciare il suo famoso verdetto:
“Mi rifiuto di credere in un Dio che gioca a dadi con il mondo. » (Albert Einstein, Congresso Solvay, 1927)
Nella polemica con i sostenitori della scuola quantistica e in primo luogo con Heisenberg, Einstein difese il punto di vista di una conoscenza completa della realtà aperta all’intelligenza. L’esperimento diede ragione a Heisenberg, che spiegò il caso quantistico e lo inquadrò attraverso le sue relazioni di incertezza.
La meccanica quantistica dimostra la limitazione del pensiero umano, che, se crediamo a Kant, ci libera dal determinismo, ma questa libertà così concessa non è arbitraria. Un singolo elettrone segue una traiettoria imprevedibile, ma una popolazione di elettroni che passa attraverso una struttura si distribuirà secondo uno schema di interferenza o diffrazione calcolabile. Il determinismo non si applica al singolo elettrone, diventa collettivo. La libertà quantistica del singolo elettrone è costretta a costruire un progetto di concerto con tutti gli elettroni.
«E quanto alla costrizione, poiché la costrizione c’è, felice costrizione che ci libera dall’inutilità, dalla puerilità e dalla schiavitù! » (Paul Claudel, Posizioni e proposizioni, 1928)
Robert Stevenson, l’autore di “L’isola del tesoro”, ci offre un’immagine bucolica della nostra libertà incorniciata da vincoli. Scrive nel “Principe Otto”:
« Nulla imita così bene l’apparenza esteriore del libero arbitrio quanto l’agitazione inconscia, oscuramente soggetta alle leggi dei corpi liquidi, che presiede alla lotta tra un fiume e gli ostacoli. Sembra l’immagine di un uomo confrontato con il destino. »
Il ruolo sospetto del tempo
Kant afferma inoltre:
“Gli atti liberi non hanno origine temporale, ma soltanto un’origine atemporale che sorge nella ragione. » (Immanuel Kant, in “I grandi filosofi, volume 3”, di Karl Jaspers, 1963)
Ciò richiede una spiegazione. Se c’è causalità, non c’è libertà. Quindi gli atti liberi non fanno parte di una catena di causa ed effetto; sfuggono allo scorrere del tempo, nascono fortuitamente. La libertà richiede possibilità, e l’unica possibilità fondamentale che conosciamo è quella delle interazioni quantistiche.
Qualsiasi fenomeno deterministico ha luogo nel tempo poiché segue la rigida legge di causa ed effetto. La libertà comincia oltre il determinismo, appare “fuori dal tempo”. Ciò risuona con l’esperienza di Marcel Proust che vive i suoi momenti di gioia sotto l’effetto di ricordi involontari, anch’essi senza tempo, che gli rivelano la sua vocazione di creatore.
Ciò che va oltre ciò che è necessario è libero, dicono i filosofi, quindi ogni ricerca libera, ogni creazione effettuata nelle scienze tanto quanto nelle arti è prova della nostra libertà. Si noti che una scoperta scientifica non è una creazione in senso stretto poiché E = mc 2 esiste prima di Einstein, ma la concettualizzazione della legge è una e sia Einstein che Heisenberg danno l’esempio degli esseri liberi per eccellenza.
Elogio del caso
Se tutto è caso, dov’è la nostra motivazione? Se non c’è alcuna possibilità, dov’è la nostra libertà?
Senza possibilità non esiste libertà poiché tutto è strettamente determinato dalle leggi naturali e una simulazione computerizzata tipo Monte Carlo può, in linea di principio, prevedere con precisione il nostro futuro personale.
Senza possibilità non c’è sorpresa, nessuna domanda, nessuna immaginazione, nessuna intuizione. La creazione, sia artistica che scientifica, che cerca di umanizzare la Natura, è la prova della nostra libertà.
“Parlare di caso significa negare la possibilità di qualsiasi legge di causa ed effetto. Il caso è in definitiva l’unico elemento irrazionale che il libero arbitrio può accettare. Senza il concetto di caso, la filosofia occidentale del libero arbitrio non avrebbe potuto nascere… È mia convinzione che questo concetto di caso, di fortuna, costituisca la sostanza stessa del Dio degli europei; lì possiedono una divinità che trae le sue caratteristiche da questo rifugio così essenziale al libero arbitrio, cioè dal caso, l’unico Dio che può ispirare la libertà della volontà umana. » (Yukio Mishima, Neve primaverile, 1989).
Anche nel mondo puramente fisico, il caso quantistico dimostra l’esistenza di una trascendenza, vale a dire di una realtà oltre la nostra comprensione. Con lui non siamo più come la pietra che cade ma come l’elettrone che interferisce con se stesso. È questa possibilità che potenzialmente ci dà la libertà svelando una parte del mistero della condizione umana.