Cos'è la scienza?

Cos’è la scienza?

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Che cosa sia esattamente la scienza è tutt’altro che unanime. Se ci dessimo la briga di porre la domanda “Cos’è la scienza?” per una giuria di scienziati, è da scommettere che si raccolgono risposte diverse e talvolta anche inconciliabili. Una situazione del genere non dovrebbe tanto commuoverci quanto richiamare la nostra attenzione sul fatto che è la conseguenza di una realtà che è utile tenere a mente, e cioè che la scienza è un affare se non acuto o ben definito.

Tale realtà si manifesta su almeno due livelli. Da un lato “disciplinare“: in un dato momento della sua storia, la scienza si presenta in mille varietà con standard, metodi e problematiche differenti, a partire dalla fisica delle particelle alla sociologia passando per la biologia dell’evoluzione o geologia. D’altra parte storica: per una data disciplina, la scienza è dinamica e mutevole. La meccanica attuale non è certo quella di Newton, né quella di Aristotele.

La necessità (comunque) di una definizione

Di fronte a questa situazione, il progetto di definire la scienza non potrebbe definirsi futile? Meno radicalmente, non si potrebbe non tentare di coglierla, se non attraverso una definizione precisa, almeno attraverso una “somiglianza familiare” alla quale considereremmo come scienziati tutte queste attività un po’ simili, ma senza mai poter essere considerate simile a una scienza archetipica comune?

Percorrere percorsi così “deflazionistici” non è privo di conseguenze, soprattutto nell’era dell’infodemia. Così come in una festa senza restrizioni di ingresso chiunque può intromettersi – o in qualsiasi foto di famiglia può intromettersi un impostore –, rifiutarsi di mettere il dito su un concetto di scienza permette che sia contato come “scienza” delle imprese che saremmo riluttanti considerare come tale. Rifiutarsi di definire la scienza significa creare un contesto ospitale con versioni deleterie dell’antiscienza.

Trova il minimo comune denominatore

Per delimitare il campo della scienza e quindi eliminare gli elementi indesiderati, una strategia sarebbe quella di individuare il minimo comune denominatore tra quelle attività che intuitivamente considereremmo scientifiche. A questo proposito, si potrebbe essere d’accordo nel riconoscere che l’astronomia antica, la teoria darwiniana dell’evoluzione, la bioclimatologia e la gravità quantistica condividono tutte, nonostante le loro evidenti differenze, un’ambizione comune, ovvero quella di generare conoscenza.

Tralasciando le spinose questioni relative al metodo scientifico (considerato qui come tutto ciò che conduce alla generazione della conoscenza), allo scopo della scienza (che si riduce a tutto ciò che la generazione della conoscenza può servire, come la rappresentazione, la spiegazione o la manipolazione di fatti), così come infine i limiti della conoscenza scientifica (qui ristretta alla dimensione “fattuale” del mondo, escludendo così fin dall’inizio altre dimensioni che non si sarebbero ridotte ad essa), questo approccio minimalista è del tutto vuoto. Lungi dal portare a una vera definizione di scienza, si riferisce piuttosto alla nuova domanda: “Che cos’è la conoscenza scientifica?” »

Un approccio classico

A questa domanda si sarebbe tentati di rispondere in modo tradizionale specificando che una conoscenza scientifica è una sottovarietà delle credenze vere e giustificate, in particolare di queste credenze vere che si dimostrano giustificate da un metodo di tipo scientifico.

Tuttavia, un tale approccio è problematico. La letteratura è piena di famosi controesempi assumendo la forma di situazioni caratterizzate da convinzioni vere e giustificate che non sono conoscenza. Immagina di possedere un biglietto della lotteria da un set di 10.000 di cui solo uno vincerà. Una volta avvenuta l’estrazione a tua insaputa, in occasione della quale il tuo biglietto è stato riconosciuto perdente, puoi affermare di sapere che il tuo biglietto è perdente? Certo che no, perché nonostante tu ci creda, che sia vero e che tu sia giustificato a crederlo (con un semplice giudizio probabilistico), resta la possibilità per te, seppur piccola, di avere il biglietto buono. Ora riproduci questo esperimento mentale facendo tendere all’infinito il numero dei biglietti (che ha l’effetto di renderti sempre più giustificato nel credere di aver perso), non sarai mai in grado di sapere che hai perso. La morale di questo ragionamento è semplice: per una data credenza, non esiste un grado di giustificazione sufficientemente alto da garantire che sia vera, e che quindi costituisca conoscenza.

Al di là del fatto che è stato un motivo per molti filosofi di allontanarsi dall’approccio classico, questa osservazione indica una questione più direttamente rilevante per l’attività di definizione della scienza (esclusa l’antiscienza). Perché se la verità figura come condizione necessaria per la conoscenza scientifica, tutto ciò che è noto agli scienziati è necessariamente vero, vale a dire al sicuro per sempre dall’essere dimostrato falso. Ma non è proprio questo il trampolino di lancio argomentativo che dà allo scetticismo radicale del “nulla può essere conosciuto” la sua stessa sostanza? Perché se la conoscenza scientifica implica l’impossibilità della falsità, non ci ha insegnato la storia della scienza – e più in generale i nostri limiti cognitivi, strumentali o computazionali non ci hanno rivelato – che una conoscenza così concepita è in realtà inaccessibile? Allungando il grado di giustificazione della comunità scientifica verso l’infinito, non ci sarà mai uno stato della scienza sufficientemente avanzato da proteggere la comunità dalla possibilità – certamente minuta, forse anche paranoica o cospirativa – di sbagliare, cosa che la definizione classica vieta.

Un approccio più adatto

Per non dare, quindi, all’antiscienza il bastone con cui batterla, è nostro dovere abbandonare l’idea che tutto ciò che genera credenze vere e giustificate di un certo tipo sia scientifico.

Per proporre un’alternativa, torniamo al caso della lotteria. Se non un più alto grado di giustificazione, cosa potrebbe convertire in conoscenza la convinzione che il tuo biglietto sia un perdente? Inequivocabilmente: l’eliminazione della possibilità che il biglietto sia vincente in base a determinati dati conclusivi, ad esempio quello che consisterebbe nell’osservare il sorteggio. Sebbene l’assorbimento di tale possibilità non sia una garanzia di verità – nulla lo è, come dimostra il fatto che il sorteggio potrebbe essere fantasticato o messo in scena da possibili complottisti – è sicuramente un passo nella giusta direzione.

In tale prospettiva, si potrebbe sostenere che la conoscenza consiste nello sfruttare i dati conclusivi a nostra disposizione per ridurre al meglio le possibilità di errore. In uno spirito vicino a quello del filosofo della scienza Karl Popper, non è tanto responsabilità degli scienziati cercare di toccare la verità quanto avvicinarsi ad essa allontanandosi gradualmente dalla falsità. Da questo punto di vista, una definizione di scienza sarebbe la seguente:

Qualsiasi attività che generi conoscenza (attraverso un certo metodo, in vista di un determinato fine ed entro certi limiti), cioè qualsiasi attività la cui vocazione è l’identificazione e l’eliminazione delle possibilità di errore.

Intesa in questo modo, la scienza si distingue da altri (dichiarati) discorsi di conoscenza, ad esempio la religione o la politica, per i quali non è certo una preoccupazione costante rintracciare – e ridurre – le possibilità di essere nel falso. Si differenzia anche – se non in qualità, almeno in grado – dalla generazione di conoscenza del buon senso per la quale le possibilità di errore grossolano possono, dato il contesto, essere legittimamente ignorate.

Torniamo alla sfida scettica

L’approccio proposto è all’altezza della sfida di tenere fuori dal seno della scienza questi approcci che saremmo portati a qualificare come anti-scienza? Non proprio, ma in realtà abbastanza bene. È senza dubbio vano cercare di abbattere definitivamente ogni forma di scetticismo radicale sulla possibilità di un’autentica conoscenza (scientifica), assumendo qui la forma particolare del riconoscimento dell’impossibilità di eliminare tutte e assolutamente tutte le possibilità di errore.

Ma la definizione riesce a frenare alcune forme piuttosto rozze di antiscienza, e in questo può essere una guida utile. Autorizza infatti a non essere conteggiate come scienze quelle aziende che trascurano di confrontarsi con possibilità di errore che la stessa azienda scientifica ha pazientemente aggiornato e studiato (bias cognitivi, comunitari o statistici, errori di misura o calibrazioni, difetti di strumentazione, ecc.). In quest’ultimo aspetto, la definizione proposta ha anche il vantaggio di privilegiare la dimensione dinamica e storica della scienza, la cui evoluzione testimonia la continua e progressiva crescita, nel tempo, del numero delle strategie messe in atto dagli scienziati per ridurre al minimo le possibilità che sbaglino.

Autore

Olivier SartenaerUniversità di Namur